di Debora Tosato*
Nel favoloso mondo del Mibact viviamo costantemente in una dimensione virtuale piena di eccellenze. Musei che fanno grandi incassi, visitatori sempre più numerosi, capolavori che viaggiano per promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo. Campagne social inneggiano a ricercare i temi più disparati nei beni culturali, da “Le forme dell’eros” a “Lo zoo delle meraviglie”.
In questa sorta di campagna elettorale permanente,
tutto il resto del mondo passa in secondo piano. Le chiese sbriciolate dal sisma in Umbria e nelle Marche sono qualcosa di desolante e spaventoso, ma distante. Altre chiese gravemente lesionate dal terremoto del 2012 a Ferrara restano chiuse, inagibili, ferite, ma non sembrano una priorità del ministro Franceschini, che annuncia con trionfalismo lo stanziamento di milioni di euro per spostare i quadri dalla Pinacoteca Nazionale al Castello Estense.
La Madonna del Polittico della Misericordia di Piero della Francesca passerà un breve periodo di vacanza a rallegrare il Natale dei milanesi a Palazzo Marino.
Se lavori nel favoloso mondo del Mibact, e magari sei un professionista preoccupato del futuro dei beni culturali, non puoi permetterti un’opinione critica, perché potresti rischiare un provvedimento disciplinare. Magari ti hanno educato al rigore scientifico, ma conta sempre meno. Quasi nulla. Come disse un collega qualche tempo fa – pur non condividendo gli intenti della riforma Franceschini – bisogna pur campare e questa non è certo l’epoca dei puristi o degli storici dell’arte. Se ne sta convincendo anche qualche funzionario, con rammarico e molta perdita di senso.
In questo clima di appiattimento, la linea vincente è quella politicamente corretta. Attivismo, dedizione al lavoro, buona volontà, disponibilità massima a qualsiasi soluzione, anche in deroga alle norme contrattuali. I poli museali sono l’esempio lampante della strategia governativa, che ha avvantaggiato a livello mediatico i supermusei indipendenti a scapito degli altri.
Se non fai incassi, sei destinato a fallire. Se sei un piccolo museo statale, con poco personale e poca attrattiva, sei destinato più di altri a fallire e a chiudere. Se sei un dirigente, hai tre anni a disposizione per dimostrare di avere realizzato degli obiettivi e di essere ancora degno di fiducia, pertanto non puoi permetterti passi falsi o segni di debolezza. Diversamente, sarai eliminato.
La tua battaglia è tenere aperti i musei, a qualsiasi condizione e a ogni costo. Per restare a galla, puoi anche concedere qualche immobile di pregio al migliore offerente – con la benedizione del ministero e un bando pubblico ad hoc – affinché qualche ente o società investa fondi per utilizzarlo in maniera sobria e attenta alle finalità culturali, alla conservazione e alla valorizzazione.
In pratica lo stato rinuncia alle proprie funzioni per devolverle a enti privati, perché non può più permettersi di mantenere il patrimonio pubblico. I privati, in tal caso, dovrebbero fare lo stesso mestiere dello stato. Vi pare possibile? Peccato che questi beni siano patrimonio culturale della collettività. Tra i tesori concessi in gestione, compaiono chiese, ville, residenze e un gioiello come l’abbazia di Vezzolano, capolavoro dell’architettura medievale italiana che si studia a scuola nei manuali di storia dell’arte.
La sorte avversa sta interessando frequentemente – negli ultimi tempi – anche diversi musei statali, costretti sempre più spesso a orari ridotti di apertura, o condannati a ridimensionare i servizi offerti ai visitatori. Recente è il caso del Museo di Palazzo Grimani a Venezia, di cui avevamo anticipato la scorsa estate il rischio di chiusura, poi esploso con l’improvvisa contrazione degli orari di apertura a due soli pomeriggi a settimana. La situazione è da poche settimane ritornata alla normalità (regolari orari di apertura), grazie all’intervento risolutivo del Prefetto, che ha convocato urgentemente le organizzazioni sindacali e il Direttore del Polo Museale del Veneto, reo di avere arbitrariamente accorpato il Museo di Palazzo Grimani al Museo Archeologico Nazionale senza una regolare trattativa, condannando di fatto il primo a essere poco più di un’appendice del secondo.
Le disgrazie del Museo di Palazzo Grimani sembrerebbero ormai scongiurate, ascoltando le rassicuranti dichiarazioni del Direttore del Polo Museale in un’intervista trasmessa al TG3 regionale del Veneto e ripresa dai quotidiani locali.
Grazie all’azione congiunta di enti e associazioni esterne come la Scuola di Musica Antica di Venezia, l’Istituto Veneto per i Beni Culturali e l’Associazione Promo Guide di Venezia, che hanno siglato una convenzione con il Polo Museale del Veneto, il museo in futuro potrà offrire cultura e concerti, corsi agli studenti, interventi di manutenzione e restauro, itinerari di visita. Il palazzo sarebbe, pertanto, ancora utilizzato come “contenitore di eventi”, secondo una linea di indirizzo già da tempo attuata dal Polo Museale del Veneto con la programmazione di cicli di conferenze, concerti ed esposizioni temporanee, cui il palazzo si presta per l’ampiezza di spazi e l’elegante “cornice” delle stanze meravigliosamente decorate, come hanno mostrato ancora una volta le immagini televisive.
Ci chiediamo, tuttavia, perché non siano state affrontate altre questioni di rilievo in merito alla valorizzazione delle collezioni del museo. Come mai la stampa non ha notato che la vetrina contenente il celebre trittico di Bosch con le Visioni dell’Aldilà è ancora vuota? L’opera, proveniente dalle raccolte del cardinale Domenico Grimani e collocata in una sala apposita sin dall’apertura al pubblico, ha sempre costituito un forte valore d’identità per il museo e un’attrattiva di richiamo per i visitatori. Dopo il prestito a varie mostre internazionali, l’opera avrebbe dovuto essere già di ritorno, invece è ora esposta con gli altri due trittici di Bosch, ugualmente di provenienza Grimani, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Anche la promessa di collocare nel percorso espositivo una vetrina con il fac-simile del Breviario Grimani, autentico capolavoro della miniatura fiamminga cinquecentesca, conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, non ha avuto seguito. Si tratta di opere chiave per la storia culturale del palazzo e per conoscere le collezioni della famiglia: per quale motivo non sono più ritenute prioritarie, rispetto ad altre scelte? Mantenere in loco queste preziose testimonianze del passato significa creare le basi e le connessioni per tramandare al pubblico la storia del palazzo e dare senso al termine “museo”, con progetti a lungo termine che vadano oltre le iniziative, seppur lodevoli, di intrattenimento culturale.
Il Museo di Palazzo Grimani è attualmente privo di un direttore, il cui ruolo è temporaneamente supplito dal Direttore del Polo Museale del Veneto, come nel caso del Museo Archeologico di Altino e del Museo Nazionale di Villa Pisani a Stra. Si tratta di notizie, come le precedenti, che l’opinione pubblica non può permettersi di trascurare, utili a ricostruire un quadro d’insieme che possa fornire tutti gli elementi per una valutazione esaustiva della situazione. Diversamente, i servizi giornalistici divengono uno spot pubblicitario. Sarebbe stato inoltre interessante intervistare anche chi lavora tutti i giorni al museo e conoscere le reali condizioni di lavoro, per informarsi sui motivi che hanno portato la struttura ad avere un organico di soli sei dipendenti ministeriali. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Perché non sono state illustrate alla stampa anche le gravi problematiche del Polo Museale del Veneto, acuite dalla Riforma Franceschini, mostrando invece solo gli aspetti positivi?
La questione degli orari di apertura al pubblico e dei turni del personale è rimasta aperta e transitoria, in attesa di elementi informativi dalla Direzione Musei del ministero, cui seguirà una trattativa sindacale. La vera notizia è che il gravissimo disagio di carenza del personale, diffuso in tutti i musei, non sarà cancellato. Trascurare questo dato fondamentale e sconfortante, necessario per informare la collettività sulle modalità di gestione del museo, significa omettere una informazione basilare. Possono sei dipendenti garantire stabilità di apertura della sede? Perché non è stato chiesto con forza un incremento di organico al ministero, ente preposto a farsi carico di questa problematica su scala nazionale?
Il personale del Museo di Palazzo Grimani fino a qualche tempo fa era più consistente, tuttavia alcune risorse – a costo zero per le iniziative di valorizzazione – sono transitate con la mobilità ad altre amministrazioni, anche a causa del permanente caos organizzativo del Polo Museale del Veneto, che aveva reso insostenibili le condizioni di quotidiana vivibilità dei dipendenti. Le persone, come le opere d’arte, non sono numeri e rappresentano la risorsa più significativa per la sopravvivenza e il futuro di un museo pubblico. Sarebbe opportuno che chi ne ha competenza riflettesse su queste perdite, affinché siano fatti investimenti in risorse umane a tempo indeterminato sul lungo periodo, e non mirati esclusivamente a implementare le risorse economiche.
6 Dicembre 2016
*dipendente Mibact, coordinamento regionale CGIL FP Veneto